Pensare la verità

Alla domanda “possiamo attingere la verità?” almeno tre scuole filosofiche nel corso della storia del pensiero occidentale hanno dato risposte contrastanti.

D. B., Loggia Il Dovere, Lugano

  • lo scetticismo, il quale mostrando che nessuna affermazione resiste al dubbio, nega che noi possiamo cogliere una qualunque verità (Pirrone)
  • il dogmatismo che sostiene l’idea di una conoscenza umana capace di conoscere l’essere in sé, e dunque la verità assoluta. (Platone, Cartesio)
  • il relativismo il quale sostiene che ogni conoscenza è necessariamente dipendente dalle facoltà umane che la costruiscono, e che non si può dunque raggiungere una verità assoluta, ma solamente una verità relativa. (kant)

O ra, qualunque sia l’opinione che un filosofo intenda adottare a proposito della possibilità o meno di cogliere la verità, la sua risposta sarà condizionata e non potrà prescindere da un’analisi del significato da attribuire a questa nozione. Equesto compito è tutt’altro che scontato. Osservando come la verità è espressa nel linguaggio naturale, possiamo facilmente constatare che essa viene intesa secondo accezioni diverse fra loro; prendiamo ad esempio in considerazione i seguenti enunciati :

  1. Giuro di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità
  2. Quello che hai appena detto è vero
  3. Questo è un vero diamante

Da questi risulta chiaro che il nostro uso quotidiano dell’espressione “vero” vede coinvolte differenti categorie concettuali : in particolare, in (a) la verità è un universale, espressa da un nome astratto ; in (b) è una proprietà di proposizioni ; in (c) è una proprietà di oggetti extralinguistici. Sebbene gli esempi (a)-(c) non pretendono di essere esaustivi delle possibili accezioni in cui viene usata la verità, sembra tuttavia che essi costituiscano i casi più rappresentativi. Così come nell’uso comune sono presenti accezioni differenti della verità, anche nella storia della filosofia si sono avute teorizzazioni di tale concetto che rispecchiano le intuizioni presenti nel linguaggio naturale; semplificando, possiamo individuare almeno due concezioni fondamentali della verità :

Senso ontologico

(La verità come realtà, autenticità, essere). “Vero” è ciò che è, è una proprietà dell’essere; il suo opposto è sia “falso” (ciò che non è) sia “apparente” (ciò che sembra). Alla filosofia interessa particolarmente l’opposizione vero/apparente, in quanto avverte come suo compito lo smascheramento di ciò che appare, di ciò che sembra, di ciò che è superficiale. Buona parte della filosofia antica fino a Platone ha inteso la verità nei termini di ciò che è rispetto a ciò che appare. Anche nel linguaggio comune è frequente questa accezione del termine come quando diciamo per esempio: “È un vero amico”, “È un vero Picasso”, “È un vero diamante” nel senso quindi di autentico. Questo concetto di verità è stato ripetuto varie volte nella storia della filosofia. Ha un ruolo di primo piano nel pensiero cristiano, che identifica la verità con Dio (Io sono la via, la verità, la vita, dice Gesù nel Vangelo di Giovanni XIV,6). Nella filosofia contemporanea la verità come rivelazione di essenze, possibile grazie alla messa tra parentesi (epoché) delle cose del mondo è tipica della fenomenologia. E anche per Heidegger (1889-1976), che si richiama al significato ontologico del termine greco aletheia, verità è disvelamento dell’essere.

Critica: L’analisi filosofica moderna ha sottolineato le ambiguità e i limiti di questa concezione ontologica mettendo in evidenza il fatto che la verità è una proprietà di enunciati o meglio di proposizioni e non tanto di cose. Possiamo dire sinteticamente che l’analisi filosofica ha esplicitato l’ambiguità relativa al termine verità in quanto essa è usata ora in opposizione a falso, ora in opposizione a finto. La coppia vero/finto si riferisce anche ad oggetti, ma nell’accezione di autentico, mentre la coppia vero/falso è legata ad una proprietà del linguaggio e del pensiero che si suppone rappresenti fedelmente la realtà. In questo senso non si tratta di una proprietà ontologica, ma di una proprietà relazionale.

Senso Logico

(La verità come ciò che si dice di entità linguistiche o mentali). La verità è la proprietà di un enunciato, quando esso corrisponde ai fatti (concezione semantica), oppure quando è coerente all’interno di un sistema dato (concezione sintattica), oppure quando mostra efficacia pratica (concezione pragmatica)

a) Concezione semantica: (verità come corrispondenza)
L’obiezione classica a questo concetto di verità è il famoso paradosso del mentitore. Quando dico “io mento” mento o dico il vero ? Se affermo di mentire, sto dicendo la verità? Se sì, sto mentendo e quindi l’affermazione è falsa; ma se non sto dicendo la verità, sto mentendo, e quindi sto dicendo la verità. Perciò la mia affermazione è sia vera sia falsa.

Un’altra obiezione alla concezione corrispondentista della verità è quella di Frege che scrive: “La corrispondenza può essere completa solo allorché le cose corrispondenti coincidono, e non siano pertanto in alcun modo distinte. Si deve poter provare l’autenticità di un biglietto di banca applicandolo per sovrapposizione su un biglietto autentico. Ma tentare di ottenere una sovrapposizione di una moneta d’oro con un biglietto da venti marchi sarebbe ridicolo. La sovrapposizione di una cosa con una rappresentazione non sarebbe possibile che se la cosa fosse essa stessa una rappresentazione. E se la prima si accorda perfettamente con la seconda, esse coincidono. Ora è precisamente ciò che non si può avere se si definisce la verità come un accordo di una rappresentazione con qualcosa di reale. È essenziale che l’oggetto reale e la rappresentazione siano differenti.” (Tradotto a partire da Frege, Ecrits logiques et philosophiques, Seuil, Paris 1971, p.172)

La corrispondenza è impossibile perché essa presuppone l’esistenza di una relazione tra due cose differenti, mentre la relazione si suppone essere di identità.

b) Concezione sintattica: (verità come coerenza).
Questa concezione della verità incontra due obiezioni fondamentali: “la prima è che non c’è nessuna ragione di supporre che sia possibile un solo sistema coerente di credenze […] Si sa che spesso due o più ipotesi possono spiegare tutti i fatti che conosciamo su un dato argomento. […] L’altra obiezione a questa definizione della verità è che essa si basa sul significato comunemente noto della parola “coerenza”, mentre, in realtà, la “coerenza” presuppone che siano validi i principi logici. “(Russell, I problemi della filosofia, Feltrinelli, Milano 1988, pp.144-146. )

c) Concezione pragmatica: (verità come utilità)
Per alcuni versi questa concezione alternativa nasce dalla domanda che viene rivolta ai sostenitori della teoria della verità come non-contraddizione: se esistono diversi sistemi, quali scegliere ? Si risponde: quello più utile, o più efficace, a seconda del campo di indagine di cui ci si occupa. Per esempio la geometria euclidea va benissimo per descrivere lo spazio del mondo in cui viviamo, non funziona più se trattiamo dello spazio cosmico. Questa definizione di verità si scontra con diverse obiezioni. Ci sono numerose cose che è utile credere ma che sono false. E poi quale è il criterio dell’utilità ? Questo sembra variare da un individuo all’altro, da una comunità all’altra, in modo che il pragmatismo sembra avere tutta l’aria di un relativismo. La proposizione “Questa pillola è un eccellente sonnifero” può funzionare ma non per questo essere vera. Infatti potrebbe trattarsi di un placebo. In fin dei conti le nostre credenze non sono vere perché funzionano, ma funzionano perché sono vere. La miglior spiegazione del loro successo è la verità ; è per questo che non si può spiegare la seconda a partire dalla prima.

Le teorie deflazioniste

Dal momento che le differenti definizioni di verità si sono dimostrate problematiche, diversi filosofi hanno cominciato a pensare che potesse trattarsi di uno pseudo-problema. È in un tale contesto che sono state proposte alcune varianti di quelle che vengono comunemente presentate come teorie deflazioniste della verità. La prima e la più radicale di tale versioni è quella proposta da Frank Plumpton Ramsey (1927) e conosciuta col nome d teoria ridondante della verità. Per quest’ultima la nozione di verità non svolge alcun ruolo determinante negli usi delle lingue naturali, e gli enunciati che contengono riferimenti ad essa possono essere parafrasati in modo sistematico, eliminando del tutto le occorrenze di parole come “vero”. Ad esempio, un’espressione come “Cesare fu ucciso è vero” sarà parafrasata da “Cesare fu ucciso”. Ciò che si può dire è che il termine “vero” non contribuisce in nulla al senso della frase intera nella quale figura come predicato. Da questo punto di vista “vero” non denota una proprietà o una relazione sostanziale che avrebbero gli enunciati come la corrispondenza o la coerenza, ma un tratto superficiale : dire che la proposizione p è vera, è semplicemente asserire p. “Vero” non è un predicato autentico, denotante una proprietà reale dell’enunciato, ma denota una certa funzione linguistica o logica, quella di fare un’asserzione che sarebbe stata altrimenti effettuata enunciando una frase esprimente p. In breve l’idea di Ramsey è che i predicati “vero” e “falso” siano ridondanti, nel senso che essi possano essere eliminati da ogni contesto senza alcuna perdita a livello semantico. Secondo Rorty dire che un enunciato è vero significa indirizzargli un una specie di complimento. Nulla di più. Una concezione così radicale della verità sembra aprire più problemi di quanti non ne risolva, per cui la maggior parte degli studiosi sembra oggi recuperare almeno una verità minimale che permetta di mostrare che il predicato di verità non è solamente un predicato di asserzione. La parola vero è il segno dell’esistenza di una norma distinta da quella dell’asserzione. Quale ? semplicemente quella secondo cui i nostri enunciati devono corrispondere ai fatti, o rappresentare la realtà.

Le verità scientifiche

Recuperando una tale concezione minimale della verità è possibile ora ritornare a porsi il problema iniziale di sapere se possiamo o meno stabilire delle verità, e in caso di risposta positiva, anche specificare di che natura sono queste verità. Ebbene se prendiamo in considerazione la scienza, l’impresa conoscitiva più accreditata, vediamo che coloro che sostengono la possibilità per essa di raggiungere una verità anche se solo parziale e relativa si basano fondamentalmente su due argomenti: 1) La continuità delle teorie : se le nuove teorie non sono che dei miglioramenti di quelle che le hanno precedute, allora è probabile che queste teorie siano approssimativamente vere. In altri termini, il fatto che gli scienziati arrivino a conservare delle parti di teorie precedenti nelle nuove teorie aventi un maggior successo mostra che le teorie precedenti sono approssimativamente vere. 2) La capacità predittiva delle teorie : la verità, anche solo approssimativa di una teoria scientifica costituisce la sola spiegazione possibile della sua efficacia predittiva. Non è escluso che una teoria possa prevedere per caso delle leggi sperimentali nuove, comunque, il numero elevato di previsioni non può essere seriamente attribuito a una pura questione di fortuna. Una volta esclusa la coincidenza, la sola spiegazione plausibile della capacità della teoria a generare nuove previsioni è di ammettere che i suoi principi e le sue ipotesi sono in grado di descrivere correttamente le strutture e i processi che governano i fenomeni.

Massoneria e verità

È abbastanza scontato chiedersi a questo punto quale delle definizioni precedenti di verità è sostenuta dalla Massoneria. Trovare una risposta a questa domanda non è tuttavia altrettanto evidente che porsi il quesito. In effetti nei testi e nei discorsi massonici sono rintracciabili ognuno dei principali significati evidenziati. A dipendenza dei contesti nei quali ci si trova il riferimento può essere alla verità ontologica, alla verità come corrispondenza tra linguaggio e realtà, a quella come coerenza tra un universo di enunciati oppure a quella pragmatica che ritiene il successo di una teoria o di una dottrina la miglior garanzia della sua verità. Personalmente penso che si possa ricavare qualche informazione utile sul concetto di verità massonica soffermandoci più che sulle svariate definizioni o sui differenti criteri, indagando le modalità di accesso alla verità. Per il Libero Muratore la ragione scientifica, benché rappresenti uno strumento fondamentale, non è l’unica via percorribile per accedere alla verità. Anche l’intuito, l’arte e soprattutto i riti iniziatici e simbolici costituiscono percorsi privilegiati che possono svelare la verità. Ma di che verità si tratta? Non di una verità asettica come quelle della matematica o delle scienze empiriche, ma piuttosto di una verità che dà un senso all’esistenza, che consente ai Fratelli di trovare delle idee per le quali valga la pena vivere, impegnarsi e forse anche morire. Più che di un sapere rigoroso ed oggettivo si tratta, come si vede, di un “sapere affettivo”come lo definiva Ferdinand Alquié, o in altri termini si tratta di quelle verità del cuore che Pascal opponeva a quelle dimostrative della scienza. Il pensiero scientifico non ha risposte a tutte le domande che gli uomini si pongono. I Liberi Muratori si attendono dalla verità che risponda alle esigenze del nostro essere morale. Come diceva Kierkegaard “la verità è ciò che in me diventa vita”. Il Massone non può accontentarsi di verità parziali, temporanee, relative come quelle scientifiche. Il suo desiderio è di attingere a verità incontrovertibili, assolute. Il percorso massonico si presenta appunto come un itinerario spirituale, sperimentato da secoli e secoli, che permette l’accesso a questo tipo di verità. Più che di una acquisizione intellettuale, tipica del sapere profano, è un processo personale interno e continuo che coinvolge totalmente il proprio essere portandolo ad una realizzazione incomunicabile con i mezzi ordinari del linguaggio comune e del linguaggio scientifico. Come non si può spiegare a un cieco dalla nascita che cosa si prova a vedere, così non si può spiegare in che cosa consiste la verità massonica a qualcuno che non è stato iniziato. In fondo il segreto massonico sta proprio qui. Non si può conoscere la verità cercando di apprenderla dai libri; è indispensabile sperimentarla personalmente e più il lavoro nella propria Officina sarà intenso, serio e coinvolgente e più la percezione della verità sarà nitida.