Multiculturalismo e tolleranza

Uno degli effetti più evidenti della globalizzazione è quello di aver favorito una società multietnica, multiculturale e multireligiosa. Questo processo tuttavia non sta avvenendo, e non può avvenire, in modo spontaneo. Solo instaurando un’autentica «cultura dell’accoglienza» i differenti problemi legati all’integrazione potranno essere superati.

La nostra società moderna sembra caratterizzata da una contraddizione di fondo. Da un lato assistiamo all’instaurarsi di una società aperta e globalizzata che tende ad abbattere barriere di tipo soprattutto economiche, politiche ma anche culturali tra i vari stati del pianeta. Questa lodevole apertura non tiene però nella dovuta considerazione le persistenti e preoccupanti differenze tra paesi ricchi e paesi poveri. È proprio tale stridente discrepanza ad impedire quell’ostracismo e quella diffidenza e discriminazione verso quei flussi migratori di disperati che dal Sud del mondo cercano un riscatto esistenziale nel nord del pianeta e, dopo la caduta dei regimi comunisti, dall’Est dell’Europa convergono verso l’Europa occidentale. Spesso questo fenomeno dell’immigrazione viene facilmente strumentalizzato in ambito politico: la popolazione viene persuasa che il multiculturalismo è fonte di emergenze legate alla sicurezza, alla criminalità diffusa e alla disoccupazione dilagante. Tali reazioni sono comprensibili in quanto frutto di un istinto naturale di diffidenza verso lo straniero,« il diverso ». Essendo naturali e comprensibili queste reazioni non devono essere considerate come un indice di cattiveria ed egoismo delle persone ospitanti ma piuttosto come un nostro limite che dovrebbe essere superato sviluppando quel culto dell’ospitalità e dell’accoglienza che è uno dei tratti caratterizzanti il nostro ordine.

Quale modello di ospitalità?

Prendiamo tre nazioni tra le più importanti in Europa: Germania, Francia e Gran Bretagna. Ognuna di esse ha affrontato il problema dell’integrazione multiculturale sviluppando strategie differenti. Il modello tedesco, definito istituzionalizzazione della precarietà, assume come presupposto che l’immigrato sia una «persona di passaggio », cioè un individuo che per disparati motivi è temporaneamente presente sul territorio nazionale di un paese diverso dal suo. Da questo punto di vista il dovere dello Stato ospitante è quello di integrare temporaneamente l’immigrato ma allo stesso tempo fare in modo che possa ritornare nel più breve tempo possibile nel suo paese.

È evidente che qualsiasi tradizione che leda i più basilari diritti umani non possa essere accettata.

Il modello francese, definito assimilazionista, si fonda invece sull’idea secondo la quale, una volta trasferitosi in un nuovo Stato, l’immigrato diventi a pieno titolo un membro della nuova comunità il che implica che egli debba far propria la cultura del paese che lo ospita e che, solo all’interno della propria sfera privata domestica possa mantenere abitudini ed usanze della società dalla quale proviene. Il modello inglese, generalmente definito pluralista, è probabilmente quello che lascia più spazio ad un programma intrinsecamente multiculturalista. In esso vige una concezione liberale dello Stato, in base alla quale il compito del potere politico è quello di assicurare ad ogni individuo il libero esercizio dei propri diritti, pretendendo come unico vincolo il rispetto del diritto altrui. In tale contesto le comunità immigrate possono manifestare pubblicamente la propria specificità culturale, purché ciò avvenga nel rispetto delle regole e della libertà delle altre persone e delle altre comunità.

I problemi del multiculturalismo non devono farci dimenticare gli elementi positivi del suo programma

La prospettiva interculturale

Ma il multiculturalismo in pratica è possibile? È altresì auspicabile? Di primo acchito si è portati a guardare con simpatia a tale prospettiva perché veicola una forma di rispetto nei confronti delle diversità nonché l’abbandono di un punto di vista eurocentrico che pretende di giudicare gli altri in conformità ai propri parametri di giudizio considerati a volte acriticamente come indiscutibilmente superiori. Tuttavia il discorso è ben più complesso di quello che appare a prima vista. In primo luogo perché il rispetto della legalità come confine della libera espressione culturale è a volte sfumato. Può capitare che possa sorgere un conflitto tra l’osservanza della legge e quella delle proprie norme e tradizioni. Per esempio anche se una persona è libera di vestirsi come desidera in conformità alla propria tradizione, tuttavia tale permesso non può travalicare i confini della legge: per esempio quella di essere identificabile con qualsiasi abbigliamento. In altri termini e più esplwicitamente il desiderio di indossare il velo è accettato ma non quello del burka che impedisce di identificare e riconoscere il soggetto. Inoltre anche se la nostra tradizione ha sempre indicato nella libertà d’espressione un valore irrinunciabile davanti al quale l’azione dello Stato deve ridursi allo strenuo necessario, è evidente che qualsiasi tradizione che leda i più basilari diritti umani non possa essere accettata. Per la nostra cultura occidentale per esempio la pratica disumana dell’infibulazione non può essere consentita o tollerata in nome del rispetto di culture differenti. Un ulteriore problema potenzialmente legato al multiculturalismo potrebbe essere quello del razzismo differenzialista, messo in evidenza dallo studioso francese Pierre-André Taguieff. Esso sarebbe l’espressione di un atteggiamento verso le comunità immigrate piuttosto diffuso nelle moderne società occidentali, caratterizzato dalla tendenza ad accentuare le differenze culturali e dalla conseguente esclusione di ogni possibilità di dialogo. L’esistenza di aspetti problematici insiti nella politica multiculturalista non deve farci dimenticare le lodevoli intenzioni del suo programma. È proprio qui che il nostro Ordine può andare oltre il multiculturalismo facendo leva su quei tradizionali valori di libertà, uguaglianza, fratellanza, tolleranza, spirito critico, senso del dubbio, relativismo…Il suo atteggiamento di fronte alla diversità non è quello di assumerla come obiettivo finale. Si tratta invece di prenderlo come punto di partenza al fine di favorire il dialogo, il confronto ed in ultima analisi la crescita comune. Più che di multiculturalismo sarebbe più opportuno parlare di interculturalismo o comunicazione interculturale. Il pensiero massonico ha sempre sostenuto che al di là delle diversità etniche, religiose e culturali le persone possano trovare un terreno comune di dialogo a partire dal quale edificare quel Tempio dell’umanità dove possa finalmente regnare la convivenza civile. È necessario convincersi che la diversità è una ricchezza: la convivenza di più culture che in uno stesso paese si confrontano e si scambiano esperienze costituisce una situazione favorevole allo sviluppo e al progresso complessivo della società intera Se il multiculturalismo può essere fonte di potenziali conflitti sta alla nostra buona volontà trasformarli in un fecondo ed istruttivo confronto. D. B