Mozart tra Chiesa Massoneria

Requiem o Flauto Magico – il genio non cambia – neppure dopo 250 anni

Va notato che Mozart non può essere definito più cattolico che Massone solo perché ha scritto più musica religiosa che massonica; per vivere scriveva per i committenti che erano, in buona parte, autorità ecclesiastiche. La sua «Libertà» va ricercata nella sua immensa produzione sinfonica, concertistica ed operistica. (n.d.r. O. Dürler)

R. E. E., membro del Grande Oriente d’Italia (Revista massonica svizzera gennaio 2006)

Dacché esiste la stampa massonica il personaggio Mozart è stato trattato con ogni impegno e professionalità, al punto che pensare di dire in proposito qualcosa di veramente nuovo sarebbe presunzione imperdonabile. Molto invece resta da dire sulla sua religiosità, non tanto come fatto generico – anche qui la letteratura è abbondante – ma come fatto specifico: il Salisburghese cioè fu Massone autentico e, tanto prima che dopo il 14 dicembre 1784, giorno della sua iniziazione tra le colonne, continuò ad essere autentico cattolico. È una tesi abbondantemente dimostrata: qui s’intende recensire rapidamente i suoi punti d’appoggio, nell’intento di evidenziare l’improrogabilità della riconciliazione esplicita tra Chiesa e Massoneria, e, di conseguenza, la legittimità della duplice appartenenza. Fedeltà cattolica e militanza massonica in Mozart risultano apoditticamente sia dalle sue parole che dalle sue opere.

Autenticità e coesistenza

Mi sembra frattanto indispensabile esplicitare un preliminare a prima vista banale, ma che ha una sua proponibilità, tenendo conto del clima arroventato che s’è creato soprattutto nel mondo massonico dei paesi latinocattolici. Esso è stato creato da circa tremila documenti di condanna da parte della Chiesa (ne ho finora repertoriati 2’031 per il solo Leone XIII), e, per controparte, da un’esplosione a volte virulenta di anticlericalismo, con punte di irreligiosità, nell’ambito massonico. La duplice e profonda appartenenza di Mozart è antica e… accettata, cosicché nessuno dei testimoni chiamati in causa può addurre quella che gli Scolastici chiamavano ignorantia elenchi. Chi esce allo scoperto assume per intero tanto la responsabilità delle affermazioni che fa, quanto le conseguenze che da esse discendono. Lo zelo mozartiano nei confronti delle due appartenenze è dimostrato abbondantemente in primo luogo dalle sue composizioni, che si susseguirono col consueto ritmo frenetico e con la ben nota genialità fino agli estremi momenti della sua esistenza terrena. Per quanto ho potuto vedere e toccare, ritengo che se non siamo proprio al fifty-fifty, poco manca: se da un lato c’è il glorioso «ingombro» del Requiem, dall’altro c’è quello non meno sublime della Zauberflöte, mentre per quello che attiene alla valutazione globale dell’opera mozartiana, la prevalenza religioso-cattolica è schiacciante. Quanto allo zelo massonico, abbiamo testimonianze abbondanti e indiscutibili. Il suo proselitismo è dimostrato: convinse Papà Haydn ad entrarvi, così come convinse al medesimo passo suo padre, Leopold. In due lettere, rispettivamente del 27 novembre 1799 e del 21 luglio 1800, sua moglie Constanze confermava all’editore Breitkopf & Härtel: «Dass Mozart Maurer war, wissen Sie» (che Mozart era massone, lei lo sa). Ed aggiungeva: «Mio marito aveva l’intenzione di fondare anche una nuova società chiamata La Grotta. Ho trovato – continuava – un frammento del suo progetto a questo riguardo, e l’ho dato a qualcuno che mostrava interesse alla questione, e che forse avrebbe potuto realizzarlo. » (Nohl, 331) C’è poi una lettera che il Maestro rivolse ad un amico, presumibilmente negli ultimi anni di vita, in cui si scusava di non aver potuto intervenire a una festività di Loggia: «Caro Fratello, è appena un’ora che sono tornato a casa; ho un forte mal di testa e crampi allo stomaco. Spero sempre in un miglioramento, ma sento che avviene proprio il contrario, perciò mi rendo conto che non riuscirò a partecipare alla nostra solennità. Perciò La prego, caro Fratello, di scusarmi, e di farlo anche in tempo e luogo opportuno. Nessuno vi perde più di quanto vi perdo io, e son sempre il sincerissimo Fratello Mozart.» (Nettle, 24) Altrettanto puntiglioso è il suo attaccamento alla fede cattolica ed alle sue espressioni rituali ed artistiche. Parlare di un Mozart bigotto sarebbe un’offesa recata al buongusto oltre che alla realtà dei fatti, ma parlare di un Mozart fervidamente apologeta, ai limiti dell’integrismo, non credo sia del tutto fuori luogo. Sia lui che i suoi familiari distinguevano con cura tra i soprusi, comunque odiosi, dell’arcivescovo salisburghese Mons. Girolamo Franz von Paula Colloredo e la grazia paterna del musicologo conventuale P. Giovanni B. Martini, o ancora, tra i sacerdoti illuminati e Fratelli di Loggia, ed i Pfaffen, uno dei quali si rifiutò di accorrere al capezzale del Maestro morente, o lo fece con imperdonabile ritardo. Mozart aveva suonato all’organo di Bach, nella Thomaskirche di quella città; Friedrich Doles, allievo dell’immortale Johann Sebastian, si congratulò vivamente con lui, ma approfondendo la discussione, si lasciò andare ad apprezzamenti poco generosi sul cattolicesimo, che coartava la libertà d’invenzione nella musica sacra; la Controriforma a suo avviso aveva creato un clima «uccisore dello spirito». Evidentemente il Doles aveva sottovalutato la cultura cattolica e l’irruenza dialettica di Mozart, il quale montò sulla furia: «Non è la prima volta – disse concitatamente – che ascolto questa ciancia. Forse per voi protestanti Illuminati… in essa potrà esserci qualcosa di vero… Quanto a noi, invece, è tutt’altra cosa. Voi non percepite alcun sentimento, allorché si dice Agnus Dei, qui tollis peccata mundi ecc. Ma quando si è stati introdotti fin dalla prima infanzia, come è accaduto a me nella mistica santità della nostra Religione… partecipando con pienezza di fervore ai servizi divini, magari senza sapere con esattezza cosa fosse, e si tornava via più leggeri e più elevati; …quando si è stati a tal punto felici da ricevere la S. Comunione inginocchiati, mentre veniva eseguito il toccante Agnus Dei; e quando durante la ricezione della Comunione in dolce giubilo la musica faceva sprigionare dal cuore le parole Benedictus qui venit in nomine Domini. Oh, allora è tutt’altra cosa. Certo, tutto questo in seguito, nella vita, nel mondo, va smarrito; per lo meno, così accade a me; ma al momento in cui si prendono in mano quelle parole udite mille volte, per metterle in musica, allora tutto ciò torna interamente, e sta innanzi alla persona, e ne sommuove nuovamente l’anima.» Mozart proseguì poi raccontando diverse esperienze personali fatte durante il primo viaggio italiano, particolarmente il Te Deum eseguito alla presenza dell’imperatrice Maria Teresa.

L’opinione di due teologi

Quella che potremmo definire la fedeltà bilaterale di Mozart non ha mai suscitato perplessità; lo attestano le biografie ed i saggi a lui dedicati, così come emerge molto brillantemente nell’antologia dell’Orel. Riservo un po’ di spazio soprattutto a due teologi di altissima caratura, il protestante Barth ed il cattolico Von Balthasar. Il primo ha dedicato al Salisburghese un opuscolo intitolato W. A. Mozart (Zurigo, 1956, 2. ed.). Egli non sosta nella solennità della cattedra: sedotto dal ludico mozartiano, gioca a sua volta. «Non sono del tutto sicuro – scrive – che quando gli Angeli sono impegnati nella lode di Dio suonano Bach, ma sono sicuro che quando stanno fra loro, certamente suonano Mozart, ed anche il Buon Dio li ascolta volentieri» (p. 13). E più oltre: «Com’è nato cattolico, e tale è stato battezzato, così è morto cattolico. Che negli ultimi dieci anni della vita sia diventato Massone, in lui non cambiò nulla, perché, pur senza esagerare in zelo ecclesiale, continuò a sentirsi a suo agio nella liturgia cattolica.» (pp. 15ss) Facile immaginare le belle cose che aggiunge allorché s’inoltra nell’analisi dei pezzi sacri e nella ricerca delle valenze teologiche contenute in alcune opere profane. Hans Urs Von Balthasar, che molti ritengono il più grande teologo cattolico del XX secolo, sosta parecchio proprio su questa seconda dimensione, del sacro presente nelle opere profane (cfr. Orel, pp. 159-161). Mozart a suo avviso rappresenta la grande eccezione: sembra non risentire le conseguenze del peccato originale, tanto la sua musica è innocente, proveniente dalle origini paradisiache, anteriore all’epoca della caduta dell’uomo. L’iscrizione massonica secondo la sua opinione non merita nemmeno di essere ricordata: è un argomento totalmente frivolo: «Mozart vuol essere suo discepolo [del Cristo], e lavora con l’intento di rendere nuovamente accettabile il canto trionfale della creazione caduta e nuovamente risuscitata…» In un’intervista al settimanale «Il Sabato» (14 giugno 1986) Von Balthasar si riferiva più specificamente alla musica sacra mozartiana, esprimendo apprezzamenti di altissima ammirazione, cosa tanto più preziosa se si pensa che nella stessa sede avanza giudizi molto severi, e altrettanto approssimativi e pregiudiziali, sul messaggio iniziatico: «Mi viene in mente – egli dice – il suo Credo nella Grande Messe. È formidabile. Gli articoli della fede sono martellati. Là si vede che cosa è la fede, la fede in musica. La musica di Mozart è la forma migliore di umanesimo, e nello stesso tempo, la più pia, senza ombra di pietismo, senza sentimentalismi. Ciò è insieme naturale e soprannaturale».

Mozart e due Papi

La doppia appartenenza non ha creato problemi nemmeno ai Sommi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II. Paolo VI parla di Mozart solo in due accenni, che hanno comunque la loro forza dimostrativa, perché la doppia appartenenza mozartiana non è ignota a nessuno. Parlando il 29 marzo 1965 a un gruppo di pellegrini milanesi, il Pontefice rievocò i fasti della musica sacra e profana della storia milanese, e nominò Monteverdi, Sammartini e il Salisburghese accomunandoli nell’elogio (Insegnamenti di Paolo VI, Libr. Ed. Vaticana, vol. III, p. 207). Il 5 gennaio 1966 parlando ad una delegazione di musicisti tedeschi espose l’influsso del canto popolare sulla liturgia, della quale rievocò la varietà espressiva; citò Bach, Bruckner, Haendel, Mozart e Beethoven (Ivi, IV, 690). Per due volte Giovanni Paolo Il ha dato ospitalità a Mozart nella Basilica Vaticana. Il 29 giugno 1985 sotto la direzione di Herbert Von Karajan vi fu eseguita la Krönungsmesse, composta per l’incoronazione dell’immagine del santuario di Maria Plain, presso Salisburgo. Il Pontefice nell’occasione si limitò a congratularsi col maestro e con solisti e orchestrali, mentre «l’Osservatore Romano» (1-2 luglio 1985) pubblicava due commenti molto significativi – l’uno in prima pagina, l’altro alla p. 9 – dove il giornale si entusiasmava per le dodicimila persone presenti in Basilica e per quelle che avevano seguito l’evento dalla piazza; attestava poi la piena consonanza della musica con lo spirito del Cristianesimo e, particolarmente, della liturgia: «L’eccezionalità della musica di Mozart ha elevato ancor di più la spiritualità della celebrazione liturgica.» L’aver eliminato il podio del direttore d’orchestra, che dirigeva la massa corale e quella orchestrale all’aperto, viene sottolineato in questi termini: «Un gesto forse minimo, ma che ha contribuito a rendere implicita la volontà di far incontrare ad un livello squisitamente umano la purezza dell’arte e la profondità della fede.» Il 5 dicembre 1991, nel bicentenario della morte di Mozart, che praticamente coincideva con quello del Requiem, questo capolavoro venne eseguito in S. Pietro sotto la direzione del M.o Carlo M. Giulini. Al termine, Giovanni Paolo II pronunciò questa breve allocuzione: «Dopo aver ascoltato con intimo gaudio l’esemplare esecuzione del Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart, desidero esprimere i miei sentimenti di profonda gratitudine al Maestro Direttore Carlo Maria Giulini, ai solisti, a tutti i componenti dell’Orchestra e del Coro della Radiotelevisione Italiana per questa significativa interpretazione. Ringrazio anche i rappresentanti del Governo Italiano, i dirigenti dell’ente radiotelevisivo e tutti coloro che in vario modo hanno contribuito alla riuscita di questo incontro musicale. Era opportuno che Mozart fosse ricordato nel bicentenario della morte, eseguendo l’opera che segna proprio il momento della sua dipartita da questo mondo ed esprime forse – per lui singolare presagio, di cui si parlò subito dai contemporanei – la sua più sofferta e sublime meditazione sul mistero della morte.Tutti noi abbiamo provato un senso di profonda pietà, quando, ascoltando la musica del Salva me, fons pietatis, vi abbiamo notato l’invocazione piena di tremore e di speranza; mentre, ricordando le ultime note scritte dal grande Maestro, abbiamo raccolto gli accenti dolorosi del Lacrymosa dies illa, avvertendo poi nel crescendo delle parole qua resurget l’affermata certezza nella potenza del Creatore, Rex tremendae maiestatis, autore della vita e della risurrezione. La Chiesa non poteva non rendere omaggio al genio salisburghese, riconoscendo che egli dedicò all’espressione religiosa tante pagine sublimi. Vorrei aggiungere che, man mano che procedeva nella creazione artistica, egli attinse le più alte vette della musica religiosa, come attestano sia il Requiem, ora ascoltato, sia la sorprendente, anche se incompiuta, Messa in DO minore, sia l’incomparabile mottetto eucaristico Ave Verum. Mentre auguro a tutti che l’emozione estetica ed insieme religiosa, in noi suscitata da questa esecuzione, faciliti il cammino verso l’Assoluto, porgo il mio saluto alle Autorità religiose e civili qui convenute, ai presenti ed a tutti coloro che, mediante il collegamento radiotelevisivo, si sono uniti a noi.» («Osservatore Romano», 7 dic. 1991, 9)

Il cammino d’avvicinamento

Tanto nella Chiesa che nella Massoneria si è dunque compiuto un notevole cammino di reciproco avvicinamento. E stata decisamente abbandonata l’impostazione narcisista ed apologetica, che induceva le due parti ad addossare esclusivamente all’altro colpe e responsabilità. Per quel che attiene alla Massoneria lascio ai Massoni l’onere della dimostrazione; per quel che riguarda invece la Chiesa ricorderò che ripetutamente scrittori e, quel che più interessa ora, Sommi Pontefici, non hanno esitato a domandare perdono per torti ed offese che la Chiesa può aver commesso nel passato nei confronti delle altre comunità. Lo fece Paolo VI aprendo la seconda sessione del Concilio; lo stesso Concilio nella dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, nell’art. 12 sconfessò i «comportamenti contrari al Vangelo» verificatisi nella Chiesa. Identico cammino ha percorso Giovanni Paolo II nel corso dei suoi pellegrinaggi apostolici in zone di mista religione. L’ultima volta lo ha fatto ad Olomuc lo scorso 23 maggio 1995, nell’omelia per la beatificazione del sacerdote Jan Sarkander, si noti bene, massacrato dai protestanti (cfr. «Osservatore Romano», 22-23 maggio 1995, 9). Nella Massoneria s’è compiuto un cammino omologo nei confronti della Chiesa? Uno dei temi maggiormente scottanti è quello delle scomuniche. Ce n’è stata una grandinata bimillenaria. La Chiesa ha fermato questo cammino, per invertire il percorso. L’ha fatto anche nei confronti della Massoneria: nella redazione del nuovo Codice di diritto canonico (1983) non solo ha eliminato la scomunica, ma ha addirittura evitato di nominare la Massoneria. Ha compiuto un cammino identico nei confronti delle confessioni religiose eretiche e scismatiche, cosa enormemente più complessa, perché – al contrario di quello che accade con la Massoneria – qui non entra in questione unicamente il contenzioso storico e le problematiche socioculturali, ma problemi e pronunciamenti dogmatici e morali pontifici e conciliari, i quali per loro natura sono considerati irrevocabili, di portata supertemporale, cioè perpetua. Il Vangelo e la carità hanno abbattuto ogni barriera di carattere giuridico ed istituzionale. Tanto la Chiesa cattolica che gli organi supremi acattolici hanno concordemente deciso di «relegarle all’oblio», e di «farle sparire dalla memoria», come si esprime l’enciclica Ut unun sint emanata da Giovanni Paolo II il 25 maggio 1995. La prima cancellazione ebbe luogo il 7 dicembre 1965 ad opera di Paolo VI e del Patriarca costantinopolitano Atenagora I, notoriamente Massone. Al n. 62 dell’enciclica ora citata, Giovanni Paolo II elenca le altre condanne all’oblio. Le ricordo rapidamente, notando che esse praticamente “assonnano” i placiti del Concilio di Efeso (431) che condannava il nestorianesimo e quelli del Concilio di Calcedonia (451) che condannava il monofisismo. Le “dichiarazioni comuni” di pace e ortodossia sono: Paolo VI con Shenouda III, Patriarca ortodosso di Alessandria d’Egitto (10 maggio 1973); ancora Paolo VI e Jacoub III, Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente (27 ottobre 1971). Al pontificato attuale appartengono le dichiarazioni pubbliche e solenni che seguono: con Shenouda III, mediante un discorso ai suoi inviati in Vaticano (2 giugno 1979); dichiarazione comune col Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, Moran lanazio Zakka I Ivas (23 giugno 1984); idem nel discorso rivolto al Patriarca della Chiesa ortodossa di Etiopia, Abuna Paulos III (11 giugno 1993); dichiarazione cristologica comune formata con Mar Dinkha IV, Patriarca della Chiesa Assira (nestoriana) d’Oriente (11 novembre 1994).

Se la riconciliazione di fatto è stata raggiunta con tante confessioni religiose, anche se dovrà essere completata, fino a pervenire alla «communicatio in sacris», cioè alla liturgia eucaristica celebrata insieme, all’altare, essa è estremamente più agevole nei confronti della Massoneria. Anche qui, la cancellazione della scomunica è cosa fatta, ma il percorso non è ancora completo: lo sarà quando esplicitamente e pubblicamente sarà sancita la libertà, per i cattolici, di quella duplice appartenenza che in Mozart e in tanti altri personaggi è stata professata e che, nel caso del Salisburghese, che si sappia, non ha suscitato né meraviglia né, tanto meno, scandalo. È l’auspicio che esprimiamo ex imo corde, ben coscienti del fatto che il suo avveramento, pur esigendo ancora fatiche, ha già compiuto un felice percorso.