Angelo Soliman Il primo Venerabile africano

Nella Vienna di Mozart fu Venerabile della Loggia «Zur Wahren Eintracht». Da morto ebbe la paradossale ventura di essere esposto in un museo come un oggetto.

M. N., membro del GOI (Revista massonica svizzera novembre 2005)

Chi fu il primo Massone nero? In genere, gli eruditi massonologi risponderebbero che quasi certamente fu Angelo Soliman. Tuttavia, a onor del vero, il primato gli è conteso da John Pine (1690-1756). John Pine (o Pyne secondo altre trascrizioni ortografiche) risulta membro della Loggia «At Globe Tavern» di Morgate già nel 1725. Incisore e amico del pittore Hogarth, sebbene il suo nome sia alla maggior parte dei Massoni d’oggigiorno ignoto, Pine fu al suo tempo celebre per esser stato l’incisore che creò i magnifici frontespizi delle Costituzioni di Anderson del 1723. Oltre alle Costituzioni sue furono anche le incisioni dell’annuale List of Lodges dal 1725 al 1741. Resta però innegabile, allo stato della documentazione attuale, che Soliman fu sicuramente il primo Venerabile di origine africana nella storia della Massoneria moderna.

Ma, aldilà di tali contese sul primato, la scoperta di un personaggio ai più sconosciuto e dimenticato come Angelo Soliman, il farne riaffiorare i reperti dalla polvere del tempo, non è lavoro da amabili latomici topi di biblioteca. È invece, senza dubbio, un incontro inatteso, nella misura in cui raffigura e testimonia l’apertura verso le diversità etniche che la Massoneria moderna rappresentò fin dai suoi primi esordi, con un egualitarismo che altre istituzioni del tempo disconoscevano e rifiutavano.

Da schiavo a precettore

Angelo Soliman nacque nel 1721 in uno sconosciuto luogo dell’Africa nera del misterioso «Pangutsiglang». Ritenuto originario dell’Etiopia meridionale o dell’Africa del nord secondo una relazione del 1808 di Karoline Pichler (1769- 1843), recentemente la studiosa ed etnologa Monika Firla-Forkl ha suggerito l’ipotesi che Soliman fosse nato nell’impero di Wandala (o Mandara come la popolazione chiamava se stessa), corrispondente alle attuali zone del Camerun settentrionale e della Nigeria nordorientale. Infatti il nome originario di Soliman era Mmadi Make e, a quel tempo, un re con lo stesso nome governò in quel territorio islamico-sunnita dell’Africa. Rapito da nemici quand’era bambino, fu venduto come schiavo all’età di sette anni. Lavorò in Marocco come guardiano di cammelli. In seguito comparve a Messina, ove rimase negli anni 1732-34. Il suo nuovo «proprietario», una ricca dama della nobiltà siciliana, dopo averlo fatto battezzare l’11 settembre 1731 col nuovo nome di Angelo Soliman, lo inviò come dono alla famiglia Lobkowitz. Angelo divenne un paggio del principe Johann Georg Christian Lobkowitz, allora governatore imperiale della Sicilia, accompagnandolo poi sui campi di battaglia in Lombardia,Transilvania, Boemia e Ungheria. Dopo la morte del generale Lobkowitz, divenne proprietà del Principe Wenzel von Liechtenstein, che nel 1755 lo portò con sé a Vienna nella sua residenza principesca nel centro della città, nella zona di Rossau. Istruito da questi ricchi proprietari europei e avendo accumulato nei suoi viaggi ricche esperienze sociali e militari, da valletto di camera, nella capitale austriaca, Angelo Soliman fu promosso al rango di «Moro principesco». Il «principesco Moro» è a Parma nel 1760 tra la delegazione della corte che va a prendere la sposa dell’imperatore Giuseppe II ed è all’incoronazione di questi come imperatore del Sacro Romano Impero a Francoforte nel 1764. Fu maggiordomo di corte, amico di aristocratici e scienziato naturale, e fu un uomo molto istruito: parlava fluentemente cinque lingue – italiano, tedesco, francese, inglese, ceco e latino. Giunse pertanto, nell’aristocratica famiglia viennese, ad essere precettore del principe Alois I von Liechtenstein.

Il matrimonio segreto

Era un personaggio popolare nei circoli della corte austriaca, un’apparizione bellissima nella sua divisa orientale, con quel suo volto dai lineamenti finemente intagliati ed una struttura corporea regolare e seducente e che tali rimasero anche in vecchiaia, con «quella solidità da opera d’ingegneria che hanno i negri» come direbbe Borges. Di lui c’è rimasto un ritratto ad olio. Aveva altre qualità, che taluni manuali di etnografia hanno negato alla sua «razza»: giocava a carte in maniera eccellente ed era soprattutto un brillantissimo giocatore di scacchi. Ma il moro non è soltanto un uomo affascinante, è venuto anche per lui il momento di essere sopraffatto dall’amore. Il 6 Febbraio 1768, nello Stephansdom di Vienna, si celebra il suo matrimonio segreto, con speciale dispensa del cardinale Migazzi, con Magdalena, vedova del segretario Anton Christiano e sorella del futuro generale francese Kellermann. Perché il matrimonio di un noto cortigiano di origine africana con una francese, vedova di un viennese, sia stato mantenuto segreto e perché il cardinale, noto come un ultraconservatore, abbia consentito una così inusuale procedura, che, se scoperta, sarebbe stata fonte di conflitto con il principe, altrettanto ultraconservatore, resterà un mistero. Sia come sia, nonostante tutte le precauzioni del caso, il principe Liechtenstein venne a conoscenza del matrimonio e si sbarazzò dei servizi dell’illustre moro, ripudiandolo e rendendogli la libertà. La famiglia Soliman – Kellermann visse in un’abitazione di proprietà di Magdalena nella periferia di Weissgärber, dove ella, nel 1772, partorì la figlia Josephine, e dove abitarono fino al 1783. Ma, dopo la nascita della figlia, un lieto fine era alle porte. Morto il vecchio principe, il suo nipote successore ed erede, il principe Franz, accettò di nuovo Angelo ai suoi servigi nel 1773. Per la prima volta, inoltre, gli veniva garantito un considerevole compenso. Dieci anni più tardi il maggiordomo e precettore andò in pensione.

Soliman Massone

Nel decennio tra il 1771 e il 1781, o forse anche prima, fu iniziato nella prestigiosa Loggia «Zur Wahren Eintracht» («Alla vera Armonia») che comprendeva molti membri dell’elite sociale, politica e artistica di Vienna. Di essa fu Venerabile il famoso geologo Ignaz von Born (1742- 1791) che fu immortalato da Mozart nel personaggio di Sarastro del Flauto Magico. Documenti della polizia austriaca del tempo indicano che Soliman e Mozart frequentarono insieme la Loggia. Neppure è da escludere che Angelo sia stato il modello del moro Monostatos che, nel palazzo di Sarastro, sta per sedurre l’infelice Pamina, soprattutto nella triste scena in cui si lamenta per l’impossibilità di amare una donna bella e candida. Anche il compositore Joseph Haydn, di cui Angelo era amico, fu membro della stessa Loggia. Lo stesso Soliman fu per un certo periodo di tempo Venerabile di questa Loggia e inserì, al centro del suo Rituale, la lettura di ponderosi saggi accademici e scientifici, pratica che, nello stesso periodo, si diffuse in tutte le Logge europee e contribuì a far crescere la reputazione della Libera Muratoria per il suo rigore intellettuale. Similmente, la fratellanza di Soliman divenne un modello celebrato del pensiero progressista massonico. Nonostante lo stipendio annuale di 600 fiorini, Soliman visse con la sua famiglia al limite della povertà. Nell’anno del suo pensionamento, la sua casa nella periferia viennese gli fu pignorata e andò a vivere con la moglie e la figlia nel palazzo Liechtenstein. Dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1786, divenne asociale, mettendo tutte le sue energie nell’educazione di sua figlia Josephine. Come ci informano le cronache della sua prima biografa, la scrittrice viennese Karoline Pichler, sembrava essere esente dallo scorrere del tempo: «Godette fino alla sua età più avanzata di una salute ininterrotta e non si poteva scorgere alcuna traccia del declino o dell’età nel suo aspetto esteriore. Ciò dava luogo ad equivoci e scherzose dispute, accadendogli spesso di esser persino considerato il figlio di se stesso da persone che lo avevano conosciuto venti o più anni prima». Eppure, le spoglie dell’ex schiavo, dopo il suo passaggio all’Oriente Eterno, andarono incontro ad un bizzarro destino.

Oggetto da museo

La sua fine giunse inaspettata quanto rapida il 21 novembre 1796, alle due pomeridiane, durante una passeggiata lungo il fiume. Cosa accadde subito dopo, Karoline Pichler, nella sua cronaca, scritta alcuni anni dopo la morte di Soliman, giudiziosamente lo tace: probabilmente per sfuggire ai rigori della censura imperiale. Poche ore dopo il decesso, il suo corpo fu reclamato dall’imperatore Francesco II (1768-1835), che ordinò allo scultore Franz Thaller di spellarlo e impagliarlo. Del cadavere fu fatto un modello di gesso e gli fu tirata via la pelle. Il monarca aveva la stravagante abitudine di collezionare corpi umani impagliati. Ad onta delle disperate e molteplici suppliche della figlia di Soliman, Josephina, delle indignate proteste dei suoi Fratelli Massoni e persino delle obiezioni dell’arcivescovo cattolico, l’imperatore mise in esposizione nel suo museo privato il terribile risultato della tassidermia. Fu messo in mostra, in posizione eretta col piede destro arretrato e il braccio sinistro teso in avanti, praticamente nudo, con un gonnellino di penne rosse, blu e bianche sui lombi e con un copricapo di piume dagli stessi colori, le braccia e le gambe adorne con fili di perline di vetro e al collo una collana di conchiglie, circondato da animali e uccelli esotici della foresta vergine, in una sorta di diorama africano. La sorte di Angelo Soliman provocò in Vienna una tale commozione che furono scritti drammi e anche Schikaneder e Richard Strauss trassero ispirazione dal fatto. Esempio di un particolare spirito vendicativo contro un “negro” libero e, nello stesso tempo, paradigma di un voyerismo esotico che sfociava nella discriminazione e nel razzismo, il corpo impagliato ed esposto di Soliman, montato in una cornice di legno, per il resto del lungo regno dell’imperatore Francesco II sarà orgogliosamente messo in mostra assieme agli animali selvatici nel museo dell’Imperatore. Inutili saranno gli sforzi della figlia di ottenere perlomeno i resti del cadavere per poterne dare sepoltura. Il concistorio arcivescovile non mancò di criticare “la curiosità” che suscitava l’esposizione scandalosa di un moro nudo di così rara bellezza. Per Vienna in generale, e per i Massoni in particolare, l’infausto destino di Soliman fu la testimonianza vivente della politica razzista e coloniale della nuova oligarchia reazionaria. Dopo la morte dell’imperatore Giuseppe II (1741- 1790) che nel 1781 aveva pubblicato l’Editto di Tolleranza e quattro anni dopo accordato ai Massoni “benvenuto, protezione e libertà”, dopo la morte di Born che ne era stato consigliere nonché organizzatore – proprio lui! – del Museo Imperiale di Vienna che avrebbe ospitato Soliman, l’impero doveva gemere sotto il tallone dell’infame governo di Francesco II. Protettore di Metternich, Francesco II non solo ordinò l’arresto e l’esecuzione di alcuni dei repubblicani della cerchia di Mozart, ma anche l’imprigionamento del marchese Lafayette, amico di George Washington. Pur non avendo fino allora perpetrato malvagità, il suo comportamento verso Angelo Soliman ne avrebbe da solo stabilito la sua notorietà, allo stesso modo in cui suo suocero, Karl Eugen von Württemberg, certamente determinò la sua fama facendo imprigionare il musicista Franz Schubert. Nel libro di Philipp Blom, dedicato alla passione del collezionismo dal Rinascimento ai giorni nostri, per definire l’imperatore si è inventato un efficace neologismo: vello-maniaco. Infatti il Kaiser Franz II dopo aver fatto imbalsamare questo raro esemplare umano per mostrarlo nel suo gabinetto di storia naturale aggiunse a questo primo “pezzo”, nei sei seguenti anni, nello stesso gabinetto dell’Hofburg, una bimba di sei anni dello stesso colore di pelle, regalo di Maria Carolina regina delle Due Sicilie, che fu esposta in vetrina, e infine Pietro Michele Angiola, ex guardiano dello zoo di Schönbrunn, che cavalcava un cammello. Nel 1806 il nuovo direttore del gabinetto di scienze naturali Carl Schreiber decise che non era più opportuno esporre esemplari umani e li fece mettere in una sala accanto, per mostrarli solo a chi lo richiedeva espressamente. Ma, nonostante ogni scrupolo, la collezione si allargò: nel 1808 il gabinetto ricevette in regalo la pelle scura dell’ex capoinfermiere dell’ospedale dei Frati Misericordiosi, Joseph Hammer. Lo scultore Wimmer ne preparò la pelle e la tese su una struttura di legno. Nel caso di questi ultimi tre non vi furono proteste, diversamente da Soliman che era un membro noto e rispettato della società viennese, o almeno non ci sono state tramandate. Le macabre reliquie di Soliman e dei suoi muti compagni di disgrazia rimasero nella collezione imperiale fino ai moti rivoluzionari del 1848, allorché una granata lanciata da un cannone nella biblioteca dell’Hofburg il 31 ottobre fece divenire preda delle fiamme le spoglie di Angelo Soliman e degli altri. Di loro non rimase più traccia.

Verso la moderna xenofobia

Non c’è niente dunque – parrebbe – che non possa essere collezionato. Soliman era negro e Massone e, alla morte, ebbe il tragico destino di diventare un oggetto da esposizione in un museo etnologico. Ma per quanto sia carente la conoscenza di maggiori dettagli della vita di Angelo Soliman, la sua scarna biografia, piena di cambiamenti, diventa nel frattempo anche «soggetto» di numerose rappresentazioni letterarie e di una compassione umanitaria molto diffusa. Sono i tratti caratteristici ed insieme esotici delle biografie degli africani della prima età moderna che vissero in Europa: cattura, schiavitù, servizio di corte in alte posizioni, personalità giuridica non chiara. Vi potremo aggiungere l’Iniziazione massonica. Resta il fatto che in una società tradizionale – cosi com’era normale nel mondo greco-romano – vi era la possibilità di conquistare una posizione sociale, e anche famigliare, degna di attenzione nonostante il colore della pelle nera e origini oscure. Soliman è stato raggiunto solo nella morte dal razzismo di una società più moderna. Che il razzismo moderno iniziasse a prender piede allora nella cosiddetta buona società, che malintesi criteri scientifici lo legittimassero nella comunità: questo fu il vero scandalo della vicenda di Angelo Soliman per i suoi contemporanei. In questa progressiva sovversione controiniziatica dei valori tradizionali, i posteri avrebbero veduto, nei secoli a venire, di peggio. E quel peggio del lato oscuro sarebbe cresciuto proprio a Vienna, ormai una vecchia signora, in Austria, in una vertigine d’orrore. Nell’olocausto dell’ex imbianchino viennese si sarebbe completato il completo ribaltamento di quella che era ed è la nozione tradizionale della reciprocità dell’Uomo e del principio che nessuno dell’Umana famiglia ci è estraneo o nemico. È questo il rischio che corre la visione eurocentrica, cioè occidentale, anche se popoli, radici culturali diverse, opinioni e fedi differenti sono sempre più rispettate. La vicenda di Angelo Soliman e degli sviluppi del razzismo, malinconicamente, nel conformismo sociale e nel pregiudizio che tuttora domina, riguarda ancora il nostro presente e guarda al nostro possibile futuro. (Tratto da Hiram 1/2004)