Perché l’uomo ha bisogno di produrre opere d’arte?
Qual è l’impulso della facoltà creatrice dell’artista? Quale insoddisfazione lo spinge a cercare una piena realizzazione nella creazione di un oggetto artistico? Quale bisogno umano specifico si soddisfa e si placa nel concepimento di opere d’arte?
Sorge abbastanza spontanea l’idea che il bisogno di produrre opere d’arte potrebbe scaturire dall’insoddisfazione inerente al mondo reale. Quando i desideri ed i bisogni non possono essere appagati nella realtà, quando le esigenze vitali non possono essere convenientemente realizzate nel mondo esteriore allora nascerebbe l’esigenza di trovare un surrogato in grado di soddisfate tali bisogni.
L’interpretazione freudiana
Per il fondatore della psicoanalisi le lacune e le rimozioni dei desideri della vita reale troverebbero una compensazione sul piano dell’immaginazione. L’artista soddisferebbe in modo del tutto immaginario, in una dimensione onirica, ciò che gli è precluso nella vita reale. Le esigenze frustrate dell’artista verrebbero così sublimate sul piano immaginativo. Le energie sessuali ed aggressive subirebbero una trasformazione di stato per cui la manifestazione della pulsione si rivela attraverso un orientamento ed atteggiamento verso una nuova meta non sessuale e verso oggetti ed ambiti socialmente apprezzati. La sublimazione pulsionale è un segno che contraddistingue particolarmente il processo di incivilimento; essa fa sì che alcune attività assai elevate, le attività scientifiche, artistiche, ideologiche, assumano una parte così importante nella vita civile. La creazione di opere d’arte diventa allora un sostituto dei bisogni e dei desideri non soddisfatti. Leopardi per esempio compenserebbe nella sua poesia sublime la frustrazione di un amore non corrisposto nella realtà. Anche l’artista, afferma Freud, “è in germe un introverso, non molto distante dalla nevrosi. Incalzato da fortissimi bisogni pulsionali, vorrebbe conquistare onore, potenza, ricchezza, gloria e amore da parte delle donne; gli mancano però i mezzi per raggiungere queste soddisfazioni. Perciò, come un qualsiasi altro insoddisfatto, egli si distacca dalla realtà e trasferisce tutto il suo interesse, nonché la sua libido, sulle formazioni di desiderio della vita fantastica, dalle quali potrebbe essere condotto alla nevrosi […] Al pari del nevrotico l’artista si ritirerebbe nel (…) mondo della fantasia fuggendo da una realtà che non lo soddisfa; tuttavia, a differenza del nevrotico, egli saprebbe trovare la strada capace di riportarlo coi piedi per terra nel mondo reale. Le sue creazioni (…) sarebbero soddisfacimenti fantastici di desideri inconsci, proprio come i sogni (…) Tuttavia, a differenza delle asociali e narcisistiche produzioni oniriche, le opere d’arte sono destinate a suscitare l’interesse e la partecipazione di altre persone nelle quali sono in grado di risvegliare e soddisfare gli stessi inconsci moti di desiderio.” ( Introduzione alla psicoanalisi, 1915/32)
«L’arte non riproduce il visibile, rende visibile.» (Paul Klee)
Si può notare che qui il bisogno di creare opere d’arte si radica nei meccanismi e nei desideri inconsci che spiegherebbero la produzione del bello. Benché l’interpretazione freudiana contenga senz’altro elementi interessanti per un’analisi delle opere d’arte bisogna dire che l’impostazione psicoanalitica lascia irrisolto il tema della produzione dell’opera d’arte in sé stessa come esteriorizzazione del bello in una forma sensibile. Nell’opera d’arte si può scorgere nevrosi e patologia ma soprattutto la bellezza in quanto tale. Il mistero della bellezza nel modello freudiano resta quindi da spiegare e non si esaurisce con la categoria della frustrazione.
La concezione hegeliana
Se l’impulso a creare opere d’arte non scaturisce tanto da bisogni primari insoddisfatti, da quali altri bisogni viene sollecitato? Una risposta classica è quella di Hegel. Secondo l’autore della fenomenologia dello spirito è il bisogno più profondo dell’uomo che è all’origine dell’opera d’arte, vale a dire il bisogno di cogliere lo spirito in quanto tale in una produzione esteriore. Hegel definisce il bello come la manifestazione sensibile dell’idea, è lo spirito che si prende per oggetto. Da questo punto di vista l’opera d’arte, anche se si rapporta al sensibile, è opera dello spirito. Nell’opera d’arte lo spirito si riconosce come un pensiero rappresentato dal sensibile. Sulla scia di Platone che denunciava l’illusione di prendere per vera realtà l’immediatezza della percezione, affermando quindi la trascendenza della verità in rapporto all’apparenza fenomenica, Hegel afferma che l’uomo non saprebbe trovare il reale autentico nell’immediatezza degli oggetti che si impongono alla percezione. L’arte si rivela quindi come il medium necessario alla rivelazione dell’essenza che risulta quindi contemporaneamente manifesta e velata nel sensibile. In sintonia con Hegel, il pittore Paul Klee nella sua Teoria dell’arte moderna, sintetizza il concetto affermando che l’arte non riproduce il visibile, rende visibile. Ciò che noi crediamo di vedere non è spesso che solo un modo di vedere.
L’arte massonica è anche funzionale ad uno scopo, in prevalenza pedagogico e morale.
Il vero, il buono ed il bello
L’arte rende visibile attraverso il suo linguaggio anche i valori dell’artista. Dal pensiero di Pitagora, che ha influito molto sugli ideali massonici, si sviluppa quella trinità di vero bello e buono che ha dominato tutta la nostra civiltà. Se il mondo è governato da leggi che l’intelletto e i sensi sono capaci di cogliere e di tradurre reciprocamente, esse sono allora simultaneamente belle e vere, basate su misure armoniche e simmetriche. Ciò che è vero è dunque bello, ma insieme anche giusto e buono, così come ciò che è falso è anche brutto e cattivo. L’arte massonica in questo senso è anche funzionale ad uno scopo, in prevalenza pedagogico e morale. Ma per avere uno scopo deve in primo luogo presentarsi come una particolare forma di conoscenza. L’arte massonica si presenta più precisamente come una forma di conoscenza intuitiva, interpretativa e simbolica. Penso che l’estetica massonica consideri perciò l’arte come portatrice di una verità e che quindi le attribuisca un valore essenzialmente conoscitivo. D. B.