La Gratitudine
Non vi spaventi dal beneficare gli uomini la ingratitudine di molti; perché oltre che el beneficare per sé medesimo senza altro obietto è cosa generosa e quasi divina, si riscontra pure beneficando talvolta in qualcuno sì grato che ricompensa tutte le ingratitudini degli altri. (N. Guicciardini, Ricordi politici e civili)
D. B. – Loggia Il Dovere, Lugano
Le ragioni dell’ingratitudine
La gratitudine, storicamente, è stata pressoché costantemente considerata una merce piuttosto rara e preziosa, mentre il suo antonimo, cioè l’ingratitudine pare sia sempre esistita. Il problema è che con il passare degli anni, invece di diminuire, sembra ormai dilagare in modo preoccupante, soprattutto nel mondo contemporaneo. Non è il caso di intraprendere studi antropologici e sociologici per quantificare esattamente questa evidente tendenza; sembra invece più utile interrogarsi sulle ragioni che spingono molti individui a comportarsi in modo ingrato. Le ragioni che mi vengono in mente in questo momento potrebbero essere le seguenti: in primo luogo si potrebbe pensare che la gratitudine è una forma di debolezza. Chi è forte non deve ringraziare nessuno perché si basa solo sulle sue proprie forze e non fa affidamento su terzi per risolvere i propri problemi. Oppure si potrebbe pensare che la gratitudine sia una forma antiquata di regole ormai superate. Si tratterebbe di gesti cavallereschi ormai del tutto inattuali e per certi aspetti ridicoli. Un po’ come quei pedanti codici comportamentali caratteristici dei “beaux gestes” in uso nel Romanticismo. Qualcuno potrebbe anche assimilare la gratitudine ad un riconoscimento indiretto, ma piuttosto trasparente, di una sorta di debito nei confronti di una o più persone. E dal momento che a nessuno piace avere dei debiti, analogicamente a nessuno dovrebbe far piacere mostrare dei sentimenti o delle semplici espressioni di gratitudine. In ultima analisi si potrebbe anche sostenere che il termine “gratitudine” non rinvia a qualche entità concreta e tangibile. In altre parole si tratterebbe di concetti non suscettibili di verificazione e quindi sprovvisti di senso. Chi abbraccia una filosofia di tipo neopositivistico sostiene che nozioni come quelle di gratitudine, non essendo riconducibili ad entità ben attestate, dovrebbero essere bandite da un discorso con ambizioni di oggettività e rigore. A questo punto due questioni ci sembrano ineludibili: in primo luogo valutare da un punto di vista argomentativo la validità e la forza dei ragionamenti summenzionati. In secondo luogo si tratterà di valutare anche dalla prospettiva dell’etica massonica la giustificazione fornita dagli argomenti suesposti.
Valutazione logica degli argomenti
Per quanto riguarda l’attendibilità logica di questi argomenti possiamo osservare che la forza di una persona non risulta aumentare se non dà prova di gratitudine. Caso mai è vero esattamente il contrario. Quando una persona dimostra gratitudine si fa voler bene, attira le simpatie della gente che è pronta a rinnovargli volentieri ulteriori aiuti. Inoltre fondare la forza sull’autonomia è del tutto illusorio. Da quando ci alziamo alla mattina a quando ci corichiamo alla sera, compiamo una serie di atti che dipendono da altri. Senza il contributo di una fitta rete di persone, l’uomo non può compiere i gesti più ordinari, bere un bicchier d’acqua, accendere una lampadina… Si pensi solamente a quante persone sono coinvolte affinché noi possiamo fare colazione alla mattina. C’è il lavoro del contadino, il lavoro del trasportatore, del commerciante, il lavoro di chi ha costruito il fornello elettrico sul quale facciamo scaldare il latte…Il nostro lavoro rappresenta così un debito che noi abbiamo contratto usufruendo del lavoro altrui. Quindi c’è una solidarietà orizzontale dei cittadini che si scambiano vicendevolmente i loro servizi e una solidarietà verticale che ci permette di trarre profitto dai lavori dei nostri antenati, che ci obbligano moralmente a lavorare per i nostri successori. Come si vede credere di dimostrare forza puntando sull’autonomia o su una specie di autarchia personale è quantomeno utopico.
Che la gratitudine possa essere considerata una forma arcaica di regole, non significa che tali regole non possano ancora oggi essere perfettamente attuali. Ci sono regole antichissime che non per questo sono oggi inattuali. La regola di lavarsi le mani prima di sedersi a tavola a mangiare potrà essere antica, ma non per questo dobbiamo considerarla sorpassata. Una consuetudine tramandata da generazioni non diventa ridicola solo per il fatto di essere stata adottata in tempi molto remoti. Se lo scopo per la quale è stata diffusa esiste ancora, non c’è nessuna ragione per ritenere che un simile comportamento socialmente utilissimo possa, con il trascorrere del tempo, diventare ridicolo.
Per quanto riguarda l’idea che manifestare gratitudine a qualcuno significhi riconoscere un debito verso la persona in questione, possiamo rispondere osservando che questo genere di debiti sono praticamente, per un essere sociale come l’uomo, inevitabili. E dal momento che, come abbiamo visto sono imprescindibili, la condotta più razionale è quella di prenderne atto e di fare in modo che la gente che ci circonda si senta gratificata e aperta nei nostri confronti. All’ultima obiezione – quella che ritiene il termine “gratitudine” sprovvisto di senso perché non sottoponibile a verifica – si può rispondere prima di tutto che il concetto di “gratitudine” può in sé apparire vago e aleatorio, ma che i comportamenti che manifestano questo stato d’animo sono tuttavia intersoggettivi. Ognuno può verificare la gratitudine di qualcuno sulla base di atti concretissimi. Una telefonata, una lettera, un regalo sono gesti che traducono inequivocabilmente un sentimento di riconoscenza o di gratitudine. Comunque, ammesso e non concesso che il termine non possa essere tradotto in azioni o fatti constatabili, ciò non è ancora sufficiente per considerarlo sprovvisto di senso. I termini teorici di cui si avvale la scienza moderna non sono osservabili ma sono tuttavia reali perché confermati dalla consistenza logica delle teorie nelle quali compaiono. Termini quali elettrone, campo elettrico, temperatura benché inosservabili o evidenziabili empiricamente sono nondimeno perfettamente significanti.
Il privilegio dell’Architettura
Morale massonica e gratitudine
Mostrare che le ragioni dell’ingratitudine sono molto deboli è senz’altro un incentivo ad aprirsi alla gratitudine, incentivo che può ulteriormente rafforzarsi sulla base di considerazioni etiche. Specialmente per noi Massoni, che non possiamo certo accontentarci della fragilità degli argomenti a favore dell’ingratitudine per coinvolgerci totalmente verso un atteggiamento che dovrebbe costituire un tratto sostanziale della nostra personalità, è indispensabile trovare un Fondamento più stabile a tale nobile stato d’animo. A questo proposito restano insuperate le riflessioni di Kant il quale distingueva le azioni compiute per dovere, le uniche che possono essere propriamente chiamate morali, da quelle legali, cioè compiute solo conformemente al dovere, cioè sotto la spinta delle inclinazioni sensibili che mirano tutte alla felicità. L’esempio fornito da Kant chiarisce questa distinzione fondamentale: “È certamente conforme al dovere che il venditore al minuto non si approfitti dell’inesperto cliente, cosa che non fa mai nel commercio in grande l’accorto mercante; egli stabilisce piuttosto un prezzo fisso, uguale per tutti, di modo che un fanciullo può comperare da lui con la medesima sicurezza di chiunque altro. Si è dunque serviti lealmente; ma questo non è neanche lontanamente sufficiente per convincersi che il mercante s’è comportato in tal modo per dovere e per principi di probità; il suo tornaconto lo esigeva, e non si può qui supporre ch’egli dovesse provare inoltre per i suoi clienti un tale trasporto immediato da essere Indotto a non fare, per una qualche specie di affetto, prezzi più vantaggiosi all’uno piuttosto che all’altro. Ecco dunque un’azione che è stata compiuta non per dovere né per inclinazione immediata,ma solamente con una intenzione interessata ». (Da Fondamenti della metafisica dei costumi, La Nuova Italia, 1938, p. 74). L’etica kantiana è detta rigoristica nel senso che per essa un’azione motivata dal desiderio della felicità non può per ciò stesso avere un valore morale. Lo ha solo l’azione compiuta per dovere. E quando possiamo essere sicuri che un’azione è compiuta unicamente per dovere? Anche qui Kant fornisce una soluzione che ogni Massone credo possa sottoscrivere. «Niente – scrive Kant nei “Fondamenti” – può essere pensato che sia incondizionatamente buono all’infuori di una volontà buona». Per volontà buona s’intende una volontà la quale, determinata a compiere ciò che essa sa essere il proprio dovere, nulla tralascia perché esso sia compiuto. E come può la ragione determinare la volontà ad agire indipendentemente dalla materia del volere? Ciò è possibile solo ammettendo che ciò che viene prescritto alla volontà sia semplicemente la forma di una legislazione universale. Non è che la volontà non abbia sempre un oggetto (materia), perché quando si vuole, si vuole sempre qualcosa, ma si vuol dire che questa materia non è motivo determinante. In altri termini, ciò che rende morale un’azione non è ciò che è voluto, ma il fatto che è voluto secondo una massima che può anche valere come legge universale. Ebbene le formule della legge morale che Kant ci ha lasciato sono le seguenti:
- Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale.
- Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre come fine e mai semplicemente come mezzo.
- Agisci in modo che la volontà, in base alla massima, possa considerare allo stesso tempo sé stessa come universalmente legislatrice.
Con queste formulazioni Kant non intende introdurre un nuovo principio di moralità, ma solo stabilire una formula che permetta di riconoscere con chiarezza la moralità di una massima di condotta. Infatti la coscienza ordinaria ha senz’altro la coscienza del dovere ma questa è influenzata altresì dai desideri e dalle inclinazioni sensibili. Ebbene la morale kantiana, come quella massonica, aiuta a separare questa mescolanza
tra i principi eterogenei del dovere e della felicità. Esistono quindi due specie di imperativi: ipotetico e categorico, a seconda che la ragione comandi è comando condizionato (precetto); il secondo è comando incondizionato o categorico (legge). Ogni Massone dovrebbe imparare a distinguere ciò che spesso nella coscienza comune appare mescolato. Ciò conferisce una conoscenza più chiara della legge morale e allo stesso tempo ne accresce l’influenza sul nostro animo.
Letture consigliate
BERGSON H., Le due fonti della morale e della religione, 1932.
DURKHEIM E., Sociologia e Filosofia, 1925.
FREUD S., Il disagio della civiltà, 1929.
KANT E., Fondazione della metafisica dei costumi, 1785.
KANT E., Critica della ragion pratica, 1788.
NIETZSCHE F., Genealogia della morale, 1887.
WIRTH O., La Massoneria resa comprensibile ai suoi adepti, 3 vol., Atanor, Roma 1985