Da Euclide a Le Corbusier Sezione Aurea e Modulor
Da millenni alla ricerca della perfezione, del bello, dell’armonia
La Sezione Aurea si ottiene dividendo una linea intera AB in un punto E, in modo che l’intera linea AB sia maggiore della prima parte AE nella stessa proporzione in cui la prima parte è più lunga del rimanente: (AB:AE=AE:EB=1,618). Le Corbusier, uno dei maestri dell’architettura moderna, ideò nel 1946 il Modulor.
Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili della Toscana, GOI (Revista massonica svizzera dicembre 2008)
Una proporzione geometrica sotterranea scoperta dai pitagorici, calcolata da Euclide, chiamata – in un trattato di Luca Pacioli illustrato da Leonardo – divina proporzione e in seguito, nell’Ottocento, Sezione aurea, che tende a mostrarsi nei luoghi più impensati e, per questo, vista da molti matematici come il simbolo dell’armonia dell’universo.
Sezione Aurea o Phi
La proporzione aurea fu molto utilizzata dagli antichi Greci come rapporto armonico nelle costruzioni architettoniche e nelle rappresentazioni scultoree, per esempio nelle proporzioni delle Cariatidi che reggono l’Eretteo o nel Partenone nell’Acropoli ateniese. I matematici gli diedero il nome di Phi dalla corrispondente lettera dell’alfabeto greco. Phi è definito anche come il numero aureo o sezione aurea. Molte sono le implicazioni matematiche di questo rapporto, a cui sono correlati anche gli organismi dell’uomo, delle piante e degli animali. Gli artisti hanno sempre cercato questo rapporto nei loro dipinti: di rado, per esempio, dispongono l’orizzonte sulla tela in modo da dividere il quadro in due parti uguali, sforzandosi, in generale, di seguire la proporzione 1,62:1. Nel XIII secolo, il matematico pisano Leonardo Fibonacci scoprì un’interessante e peculiare serie di cifre che proliferano in natura, tutte correlate secondo il rapporto Phi: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, 377, 610, 987, 1597, 2584, 4181, e via di seguito. Dopo che la serie è cominciata con 1, 1, gli altri numeri si ottengono sommando i due precedenti della serie.
Dall’antichità ai nostri giorni corre nelle misure delle varie arti il filone tradizionale – più o meno segreto – della cosiddetta Sezione aurea (geometricamente, la parte media proporzionale di un segmento tra l’intero segmento e la parte residua), che costituisce uno speciale rapporto matematico ricorrente nella natura in modi innumerevoli (così in tutte le forme penta-decagonali, ma non solo) e che gli antichi matematici avevano identificato come la radice universale delle cose. Nella tradizione giudaico-cristiana proprio la ricerca dell’Arca, andata perduta nelle varie distruzioni subite da Gerusalemme, ha assunto il simbolo di una trasmissione del segreto della Sezione aurea attraverso la storia. Ne sono esempio in questo senso le opere, non solo bellicose, dei Cavalieri Templari. Indipendente da questo percorso è l’altro, che si può definire greco-pitagorico, sempre attinente alla Sezione aurea, che si manifesta nella scultura e nell’architettura greca, a partire da Fidia.
Partendo dalla definizione e da alcune conseguenti costruzioni della Sezione aurea di un segmento, si individuano le connessioni con il pentagono regolare in modo da giungere alla rispettiva realizzazione del pentagramma. I greci già usavano il pentagono (contenente molte relazioni basate sulla proporzione aurea) come simbolo sacro. Se tracciamo tutte le diagonali del pentagono, esse formeranno una stella a cinque punte o pentangolo al cui interno apparirà un pentagono invertito che sarà in rapporto aureo Phi con il primo pentagono. Il pentagono stellato è sicuramente la figura geometrica che più di ogni altra rappresenta, all’infinito, la Sezione aurea. È forse per questo motivo che questo fu scelto come personificazione della scuola pitagorica e principale simbolo della Libera Muratoria. A questa figura è stata attribuita, per millenni, un’importanza misteriosa probabilmente per la sua proprietà di generare la sezione aurea, da cui è nata.
Adottando rapporti e strutture basate su semplici figure geometriche, gli architetti gotici, che erano degli uomini pratici, cercarono di semplificare i tracciati e garantirsi che la loro concezione sarebbe stata fedelmente riprodotta nella fase esecutiva. Una delle preoccupazioni degli ideatori dell’epoca, di fronte alla varietà ed alla mancanza di precisione delle unità di misura allora adottate, era di far sì che i loro disegni fossero facilmente comprensibili. Vi sono prove numerose, sotto forme di riscontri precisi, che i più semplici sistemi di proporzioni geometriche dovessero essere impiegati in modo cosciente e deliberato. La Sezione aurea presenta la proprietà di generare indefinitamente la medesima proporzione.
Il Modulor
Fin dall’antichità le varie culture utilizzarono dei canoni per la rappresentazione della figura umana. È accertato, infatti, che perfino gli egizi seguirono delle regole ben determinate nell’esecuzione delle loro statue e sembra probabile inoltre che, nelle diverse epoche, essi abbiano utilizzato canoni differenti. Secondo alcuni studiosi, sembra che essi abbiano stabilito come unità di misura (modulo), prima la lunghezza del piede, successivamente quella del dito medio. L’intero corpo umano dalla pianta dei piedi fino alla sommità del cranio doveva misurare esattamente 19 volte la lunghezza del dito medio. Anche i Greci utilizzarono canoni diversi; fra questi uno dei più importanti fu quello di Lipsio, tramandato da Vitruvio, che fu utilizzato anche in tutto il Medioevo. Il modulo di questo canone è la testa contenuta esattamente otto volte nel corpo umano e anche gli artisti del Rinascimento seguirono i canoni greci. Leonardo da Vinci accettò invece la regola del quadrato degli antichi, secondo la quale l’uomo con le braccia aperte può essere inscritto in un quadrato. Inoltre egli dimostrò che, se le braccia sono leggermente sollevate dalla posizione orizzontale e le gambe alquanto divaricate, la figura umana può essere inscritta in un cerchio il cui centro corrisponde all’ombelico. Leonardo seguì inoltre la regola di Lipsio secondo la quale l’altezza della testa è uguale all’ottava parte dell’altezza totale del corpo, ma in realtà la regola vale solo per le persone al di sopra dei 185 cm. Le Corbusier, uno dei maestri dell’architettura moderna, ideò nel 1946 una scala di misure usata poi in tutte le sue opere: il Modulor. Tali misure ubbidiscono contemporaneamente alle misure del corpo umano e ad una regola matematica: il cosiddetto rapporto aureo.
Da questo numero de «II Laboratorio» il logo della copertina, come stabilito dalle norme statutarie conseguentemente ad ogni avvicendamento della Giunta del Collegio Circoscrizionale dei MMVV della Toscana, è stato aggiornato, inserendoci il Modulor di Le Corbusier – derivato dall›esame critico della Sezione aurea – in considerazione del suo particolare accostamento alla nostra simbologia metafisica. Modulor, perché? Le Corbusier cerca di fondere anche nel nome l’esigenza di una regola matematicamente armonica (in francese module, modulo e or, oro) con un chiaro richiamo al rapporto aureo di Fibonacci. Esaminando i concetti del Modulor, si può vedere come Le Corbusier, accusato spesso di essere troppo dogmatico e legato ai suoi percorsi, sia invece propenso ad adottare le buone regole quasi sempre. L’invito rivolto al progettista è dunque di applicare rigorosamente le norme solo quando è possibile e di trasgredirle liberamente quando queste si rivelino miopi e anguste. Il Modulor è un sistema di misure e di proporzioni, scaturite dalle misure del corpo umano e utilizzabili sia dal sistema metrico decimale sia da quello anglosassone. Come unità di queste relazioni potrebbe essere perfetto, ma il suo stesso inventore però suggerisce di vagliarne di volta in volta l›effettiva utilità.
La rappresentazione grafica del Modulor è avvincente e, ad una prima occhiata, convincente. Una figura umana stilizzata con un braccio steso sopra il capo si trova vicino a due misurazioni verticali, la serie rossa basata sull’altezza dell’ombelico (108 cm nella versione originale, 113 cm nella versione riveduta) poi divisa in segmenti secondo il Phi, e la serie blu basata sull’intera altezza della figura, doppia rispetto all’altezza dell’ombelico (216 cm nella versione originale, 226 cm nella riveduta), e divisa in segmenti allo stesso modo. Una spirale, sviluppata graficamente tra la serie rossa e la blu, sembra mimare il volume della figura umana. Il Modulor è una gamma di dimensioni armoniche alla scala umana, universalmente applicabile in architettura e in meccanica. La sera del loro incontro a Princeton, Albert Einstein scriveva a Le Corbusier a proposito del Modulor: «Si tratta di un sistema bidimensionale che rende difficile il male e facile il bene.» Questa invenzione di Le Corbusier, una volta brevettata, fu resa di dominio pubblico nel 1947. Nel 1948 apparve la prima edizione di Le Modulor, che fu ben presto esaurita e dovette essere ristampata. È apparso anche un secondo volume, Modular 2. Le Corbusier aveva concluso il primo volume con le parole: «Solo l’utente ha la parola.» E, infatti, il Modulor, senza la minima propaganda, si è diffuso in tutto il mondo e viene utilizzato con entusiasmo, specie dai giovani. Corrisponde ad un’esigenza impellente, poiché non si possono risolvere i moderni problemi della standardizzazione, normalizzazione, industrializzazione senza una nuova scala dimensionale. Il Modulor ne ha proposta una.