I social media e la responsabilità del Massone
Negli ultimi anni i social media hanno avuto uno sviluppo straordinario, tale da apportare una vera e propria rivoluzione nel mondo della comunicazione. Essi rappresentano ormai il modo più diffuso di scambiare informazioni, contatti, foto, video, messaggi, appuntamenti… La loro indubbia comodità e utilità nasconde tuttavia molteplici insidie che il Libero Muratore, come il cittadino comune, farebbero bene a conoscere.
Nel giugno del 2015, Umberto Eco ricevette la laurea honoris causa in «comunicazione e cultura dei media» all’università di Torino. In quella circostanza egli ebbe una conversazione con i giornalisti che finì per innescare un dibattito sulla stampa e sul web. In particolare fece scalpore una sua affermazione sui social network: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità». Questa frase ha scatenato un vespaio e numerose critiche di molti utilizzatori di tali strumenti di comunicazione. In realtà, andando a riascoltare il video della conferenza di Eco, si capisce che la sua intenzione non era quella di criticare gli utenti delle reti sociali ma solamente quella di mostrare alcuni risvolti negativi del loro impiego. In effetti nell’intervista Umberto Eco fa alcuni esempi di un uso utile di tali tecnologie: «Basta pensare a quanto accaduto in Cina o in Turchia dove il grande movimento di protesta contro Erdogan è nato proprio in rete. Qualcuno dice anche che, se ci fosse stato Internet ai tempi di Hitler, i campi di sterminio non sarebbero stati possibili perché le informazioni si sarebbero diffuse viralmente». Dal contesto dell’intervista emerge quindi che il suo non era un attacco ai social network ma piuttosto all’inadeguatezza della scuola nell’insegnare ai ragazzi a filtrare le informazioni.
Stupidaggini non solo inutili ma anche pericolose
Lo storico Carlo Cipolla sosteneva che tra i vari tipi di persone gli stupidi sono i più pericolosi. In effetti se intelligente è colui che trae vantaggio per sé, facendone trarre anche ad altri, sprovveduto colui che causa danni a sé, procurando vantaggi ad altri e il bandito colui che trae vantaggio per sé, causando danni ad altri allora lo stupido, che causa danni a sé e agli altri, è il tipo più pericoloso di tutti. Se avessero ragione Umberto Eco e Carlo Cipolla non si dovrebbe quindi sottovalutare il problema. Facebook è ormai diventata una specie di religione universale; ha raggiunto in poco più di dieci anni dalla sua fondazione il miliardo e mezzo di utenti registrati. Come afferma Odifreddi sono cifre ormai pari al numero dei musulmani di tutto il mondo e superiori a quelli del cattolicesimo, con il suo miliardo e 250 milioni di fedeli raggiunti in due millenni di attività. L’esercito dei fedeli di Facebook ha permesso all’impresa di organizzare un business da miliardi di dollari e al suo inventore di diventare una delle persone più ricche del mondo. E mentre una moltitudine di allocchi si pavoneggia condividendo insignificanti dettagli della propria vita quotidiana, vengono silenziosamente spiati dal vero grande fratello e perversamente manipolati dagli squali della pubblicità che si arricchiscono alle loro spalle.
Regole per un’etica della comunicazione
Ma i pericoli dei social network possono essere addirittura drammatici se oltre alla stupidità si aggiunge anche la cattiveria. Il cyberbullismo rappresenta una delle più recenti e insidiosissime forme di vera e propria violenza. Scherzi, insulti, provocazioni, menzogne, attacchi alla reputazione…possono innescare reazioni drammatiche. Basti pensare al recente caso di Tiziana Cantone, la ragazza morta suicida a causa di un filmino hard finito sulla rete. Davanti a questa giungla telematica, a questo anarchismo incontrollato della comunicazione non stupisce che sempre più spesso si torni a parlare di un’etica della comunicazione, di un ecosistema sostenibile della società interconnessa.
Noi pensiamo che sia indispensabile un’educazione alla coscienza individuale ed alla responsabilità del singolo.
Anche il Massone dovrebbe chiedersi che cosa significa comunicare bene ed essere in chiaro su quali sono quei criteri che consentono di riconoscere, di legittimare e di preferire ciò che è positivo nella comunicazione e ciò che non lo è. Non c’è bisogno di scomodare i semiologi per capire che ai giorni nostri lo spazio comunicativo non susciti interessi di tipo etico. Eppure negli utenti si percepisce un disagio crescente di fronte ad una valanga di informazioni che non siamo più capaci di controllare. Servirebbe una regolamentazione dello spazio comunicativo che tuteli chi usufruisce dei social media in modo da evitare che diventi un puro bersaglio preso di mira in un meccanismo di trasmissione delle informazioni. I diritti degli utenti, specialmente quando si tratta di un pubblico molto giovane e in particolare dei bambini dovrebbe essere regolato da una precisa deontologia. Molti codici comportamentali esistono già ma risultano carenti su un piano strettamente applicativo e quindi poco credibili. Per questa ragione noi pensiamo che sia indispensabile un’educazione alla coscienza individuale ed alla responsabilità del singolo. È qui che il Libero Muratore dovrebbe non solo fare attenzione a non lasciarsi trascinare nel pantano di certi contesti comunicativi ma presentarsi come un esempio, un modello di comunicazione dignitosa. Più precisamente noi dovremmo sempre prestare attenzione e rispetto per l’interlocutore, ascoltare le sue ragioni e dimostrare l’intenzione di giungere ad un accordo con lui. In questo modo il linguaggio e la comunicazione tornano ad assumere il loro significato originario. Non solo strumenti che consentono di trasmettere informazioni o di descrivere uno stato di cose, ma il luogo di una condivisione, di una possibile partecipazione, di una messa in comune di esperienze, vissuti, la quale arricchisce, coinvolgendoli, gli stessi interlocutori. D. B.