Lavoro a tempo parziale, disoccupazione e qualità della vita
Da parecchi anni ormai e da diverse aree politiche si indica nel lavoro a tempo parziale la soluzione a una serie di problemi endemici della società attuale: in particolare quelli della disoccupazione e del peggioramento della qualità della vita. Tra i promotori del lavoro a tempo parziale si segnalano per dinamismo soprattutto i teorici della decrescita felice. Le loro proposte ci sembrano senz’altro seducenti ma non per questo esenti da alcune obiezioni.
La tecnologia dopo aver sostituito i lavori più faticosi fisicamente e che generalmente non rimpiangiamo, sta progressivamente rimpiazzando anche i mestieri cognitivamente più complessi che preferiremmo tenere per noi.
La questione della disoccupazione
La disoccupazione strutturale, cioè la mancanza di occupazione conseguente allo squilibrio stabile tra domanda e offerta di lavoro, costituisce uno dei principali problemi per le famiglie e per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Molti di loro sono impegnati in scuole che non serviranno perché dispensano competenze per un mercato ormai saturo. La disoccupazione colpisce l’autostima in persone mature e ancora valide ma non più competitive per i pochi posti rimasti delle aziende ristrutturate. Essa minaccia anche chi il posto ce l’ha imponendogli di scendere a patti vergognosi e lascia frustrati chi il lavoro non lo ha mai avuto e vede il treno della vita passargli accanto senza potervi mai salire.
Per alcuni il problema non sussisterebbe. Per esempio, Kelvin kelly ricorda che la rivoluzione industriale ha liquidato in due secoli sette agricoltori americani su dieci. Poi preannuncia che prima della fine del secolo il 70% delle occupazioni attuali saranno probabilmente rimpiazzate da una qualche automazione. La conquista dei robot sarà epocale e toccherà quasi tutti i mestieri. Ed è già in atto. Per i più ottimisti questo tuttavia non significa che i robot ci ruberanno il lavoro ma semplicemente che lo cambieranno. La storia dimostra che in passato la tecnologia ha creato più posti di lavoro di quanti ne abbia soppresso. Nel Novecento il tasso di occupazione è aumentato tanto da poter permettere l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.
Per altri invece l’idea che la società possa mantenere il numero di posti di lavoro, data l’espansione esponenziale della tecnologia e l’ascesa dell’automazione, è semplicemente irrealistica. I vecchi posti di lavoro non torneranno. Quelli nuovi saranno altamente sofisticati, tecnicamente e creativamente impegnativi e una manciata di quei posti basterà a mandare avanti l’economia.
Ma il suddetto scenario a detta di vari studiosi non è un problema ma un’opportunità. Cominceremo finalmente a pensare che forse il lavoro non è lo scopo della vita. Riusciremo finalmente a capire che è necessario lavorare per vivere e non il contrario. Da questo punto di visto lo scopo dovrebbe proprio essere quello di farci definitivamente rubare il lavoro dai robot per poter finalmente avere tempo per le cose che ci stanno più a cuore. Ma affinché questa idea non risulti semplicemente utopica è necessario trovare un modo per garantire a tutti un reddito di cittadinanza, cioè garantire incondizionatamente a ogni persona un contributo fisso, che soddisfi le condizioni minime di dignità e di benessere. Questa proposta nell’attuale congiuntura storica caratterizzata da una profonda crisi del welfare state ci pare quantomeno improbabile.
Decrescita e qualità della vita
Una politica più sostenibile sembra invece quella proposta dal noto sociologo ed economista Serge Latouche. La sua teoria della decrescita parte dal presupposto che il concetto di sviluppo su cui si fonda la società industriale contemporanea sia viziato da un equivoco di base, ossia la tendenza ad assumere la crescita del PIL come il parametro fondamentale della qualità di vita. In realtà esso indicherebbe solamente la quantità di beni e servizi prodotti in un certo Stato, in funzione dei consumi dei cittadini (dal momento che una domanda più alta implica un incremento della produzione). Secondo Latouche il suo accrescimento non equivarrebbe pertanto ad un aumento del benessere, anzi a volte segnalerebbe esattamente il contrario.
Secondo Latouche un modello di sviluppo che persegua solo un aumento della produttività a tutti i costi compromette i presupposti per una vita qualitativamente soddisfacente. Un tale sistema espone infatti il pianeta a uno sfruttamento selvaggio insostenibile sia in termini di rigenerazione della biosfera, sia in termini di distribuzione equilibrata delle risorse. Si è stimato che se tutti gli abitanti della Terra consumassero come l’occidente più ricco il pianeta dovrebbe sestuplicare le sue dimensioni per sostenere un simile impatto. Di fronte a tale prospettiva, è necessario proporre un modello economico funzionale basato sulla riduzione dei consumi, sul ridimensionamento del mercato nel soddisfacimento dei bisogni umani.
È proprio in questo contesto che si colloca la proposta di un lavoro a tempo parziale per far fronte sia ad una ineluttabile disoccupazione che ad un miglioramento della qualità della vita. Ma si tratta di una proposta realizzabile? Lavoro a tempo parziale significa anche salario parziale. Dal momento che anche con un lavoro a tempo pieno molte famiglie fanno fatica ad arrivare alla fine del mese ci si domanda come potrebbero vivere con un lavoro a tempo parziale. L’idea che si possa lavorare a tempo parziale e percepire uno stipendio di un tempo pieno pare del tutto irrealistica. Le spese fisse alle quali oggi sono confrontate le famiglie sono talmente onerose che anche a ridurre al minimo gli sprechi e le cose superflue non si riesce a far quadrare i conti. La classe media è già passata da un’economia che permetteva un certo agio ad un’economia di sussistenza per cui i margini per ulteriori risparmi sono ormai molto esigui. In ultima analisi la convinzione che il lavoro parziale possa essere una strategia per aggirare l’ostacolo disoccupazione e contemporaneamente permettere una qualità di vita migliore, senza stress e con più tempo libero risulta pesantemente condizionata dalla possibilità di garantire un salario minimo in grado di sostenere i costi di quelle spese inevitabili. D. B.